Progetto

VERSO MI'CANTO

Opera frammentata Di e con Cristina Da Ponte Viviana Leoni Marta Marchi SINOSSI: VERSO MI'CANTO è un'opera frammentata in una cornice a tinte forti, fatta di frammenti di un viaggio che parte dall'intimo dell'animo umano. Una raccolta di squarci, ricordi, desideri e sogni che si muovono vorticosamente per arrivare aldilà. Aldilà del silenzio, dello sguardo, dell'orizzonte, dei confini, della paura. Un lavoro che esplora il linguaggio poetico come esperienza del proprio essere. Poesia intesa come grido necessario e istintivo. In scena ritagli di tre vite si intrecciano in una vertigine dove pensieri, azioni e parole si esprimono attraverso piani paralleli. Tre figure malinconiche e trasognanti svelano frammenti di vita che emergono violentemente dal profondo. Le tre figure hanno il volto bianco e grandi cerchi neri attorno agli occhi, hanno abiti di marinaio, di donna, di ribelle; ma di questi sono solo lo specchio, ne traducono l'essenza attraverso i corpi, nervosi e stilizzati, e le voci, affamate e pregne. VERSO MI'CANTO è il sogno di un viaggio, nato da un istintivo desiderio di espiazione, di libertà. NOTE DI REGIA: VERSO MI'CANTO è opera originale di tre autrici. Tutte e tre hanno curato drammaturgia, regia e lavoro attoriale. Lo spettacolo è quindi frutto di un continuo confronto, scontro, scambio di idee e visioni. Il testo drammaturgico è nato dal desiderio di sperimentare un linguaggio, quello poetico, identificato come lingua più vicina all'anima, l'unica in grado di darle voce. Da lì sono nate numerose improvvisazioni, riflessioni, raccolte di testi che hanno dato vita al testo drammaturgico di VERSO MI'CANTO, un testo in continua evoluzione con la scena. La composizione della scena segue un preciso lavoro di gestione e utilizzo dello spazio, che è percepito come se fosse un luogo speciale, estremo, una porzione di terra su cui è stato puntato un riflettore, una lente d'ingrandimento. In questo spazio le attrici si muovono con corpi molto precisi, non quotidiani, estremamente tesi anche quando si muovono lentamente. I gesti sono densi, a volte stilizzati. I volti sono “volti dai lividi celati”. Gli occhi, cerchiati di nero, guardano lontano quasi avessero lenti profonde ormai tatuate. I corpi in scena non sanno parlare, le loro parole escono dalle bocche di altri, escono amplificate e violente da microfoni che vengono utilizzati come strumento compositivo, per rafforzare o spostare il piano verbale. La scena sviluppa continui quadri dove la figura (o figure) che non parla è protagonista di un particolare frammento drammaturgico; le sue parole escono amplificate dalle voci (dalla voce) delle altre due figure che ne sviluppano i pensieri. In scena è presente un grande baule vuoto (una barca, una casa, una bara, una gabbia..) che prende forma di quadro in quadro. Dal baule esce un lungo telo blu, il mare, eterno simbolo di viaggio. Anch'esso muta e trasforma, trasformando chi lo possiede. Le tre figure sono vestite in modo strano, ricordano un marinaio delle terre del nord, una donna di ceto elevato, un adolescente ribelle. Queste figure sono i fantasmi di ciò che sono state. Ne incarnano le ferite, i rimpianti, le passioni, i sogni, le speranze. E sono proprio queste le cose di loro che restano. I solchi più profondi della prigione (o libertà) che rappresentano. Ogni figura sviluppa una faccia di questo desiderio di libertà. Tre facce che infine si completano e unite rendono possibile il viaggio, l'espiazione. “Questo è il mio inno alla complessità unico modo per dire unico modo per non dire è la giusta distanza per dire è la giusta vicinanza per dire Sono spiragli. Piccole perle accese nel buio." CREDITI Spettacolo vincitore del premio Pedro – OFF 2014 Collaborazione artistica _ Nicolò Sordo Disegno Luci _ Luca Brun Foto di scena _ Barbara Pigatto

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